La testimonianza di Beatrice in occasione dell’incontro con le/gli studenti “Quale fame? D.C.A: parliamone!”

La testimonianza di Beatrice in occasione dell’incontro con le/gli studenti “Quale fame? D.C.A: parliamone!”

Non è facile parlare della propria esperienza, quando si tratta di ritornare ad un periodo di profonda tristezza e sofferenza, tua e di chi viveva con te questo disagio.Beatrice c’è riuscita, con leggerezza e senso dell’umorismo ( quanto aiuta… )…. senza tralasciare comunque di trasmetterci la fatica e le difficoltà che la cura di un disturbo alimentare comporta.Dalla tua testimonianza traspare però anche la gioia e la soddisfazione di avercela fatta, e alla grande!!!Grazie Beatrice!Come nelle tue intenzioni, speriamo proprio che la tua testimonianza aiuti i genitori ancora alle prese con questa malattia a mantenere viva la speranza in modo da essere davvero una risorsa verso la guarigione!

Buongiorno a tutti! Mi presento: sono Beatrice, ho 30 anni, sono una moglie, una mamma, lavoro come neuropsicomotricista, nel tempo libero mi piace fare teatro e cantare con un gruppo di amiche. Oggi mi è stato chiesto di intervenire a questo convegno e non vi nascondo che provo un po’ di imbarazzo, è da molto che non rivango questo pezzo di vita. Ma non me ne vergogno, anzi! Ho combattuto contro il mio demo gorgone e ho vinto, ne vado molto fiera. Avendomelo chiesto poi l’associazione Margherita, che sta facendo un lavoro IMMENSO per questa causa, ho pensato che fosse doveroso accettare dando il mio piccolo contributo. Ed eccomi, come richiesto da voi studenti, “la testimonianza di una che ce l’ha fatta”. Da brivido pensarmi come una superstite! Ma purtroppo è così, non tutti ce la fanno. Perlomeno a uscirne così! Guardate qua che roba! Ahah.

Parto dal principio. Una quindicina d’anni fa iniziava tutto, nel periodo della vita in cui uno cerca il proprio posto nel mondo e un modo per starci. Il miei “posti” erano una bella famiglia, il liceo classico, un gruppo di care amiche, il gruppo vocale. Il mio modo di stare era gioioso, ma guardando indietro ho capito che uno degli aspetti della mia personalità che forse più ha condotto all’emergere della malattia è stato l’essere accondiscendente, il cercare di essere “buona” agli occhi di tutti, l’astenersi totalmente dai giudizi negativi, il voler essere un porto sicuro sempre per tutti. Se tutto fosse filato liscio forse sarei ancora così (che palle!). La vita ovviamente non fila mai liscia. E in quell’età un po’ critica per tutti si sono verificati degli avvenimenti che credo siano la causa principale della malattia. Niente di che, ma una serie di piccole gocce che hanno scavato e corroso la mia personalità nascente. Mia nonna ammalata e poi deceduta, mia mamma prima impegnata nella sua cura e poi nell’elaborazione del lutto, mio papà con un nuovo importante incarico che portava lui ad essere poco presente e me a essere posta sotto dei riflettori non graditi, mio fratello che aveva lasciato casa per iniziare l’università, la classica delusione amorosa spezzacuore, le mie amiche via via tutte fidanzate e meno presenti. Una bella combo di difficoltà, una in fila all’altra, che hanno fatto vacillare le mie certezze e, soprattutto, mi hanno fatto sentire molto sola. Credo sia stata proprio la percezione di una profonda solitudine la causa del tutto, l’ho capito nel tempo. E sinceramente mi è sembrata anche un po’ banale come causa, ma questo è quanto. Ci vuole molto poco per cadere e per me è bastato questo. È stato quindi un inizio graduale, un bisogno progressivo di tenere il controllo su qualche cosa e io ho scelto l’unica cosa che potevo governare: me stessa. Pian piano è avvenuto tutto ciò che sapete già probabilmente sulla malattia: la mia vita è stata scandita da restrizioni alimentari, pesate sulla bilancia, controllo dei condimenti, conta delle calorie, camminate… Badate bene, questa scelta è stata totalmente inconsapevole: è stato come se qualcuno si impossessasse di me e soprattutto dei miei pensieri. Ero io, ma non ero io. C’era qualcosa in me che non mi lasciava più prendere un pezzo di pane e mettermelo in bocca, che mi obbligava a fare mille calcoli ogni volta che mi siedevo a tavola, a mangiare sempre meno, a dire un milione di bugie ai miei cari ho già mangiato, mangio fuori, non ho fame, ho mal di pancia, quello non mi piace più. Ma non mi disturbava mica, non mi faceva né caldo né freddo. Era così e basta, dovevo comportarmi così e basta. Mi rendevo conto delle cose ma non avevo alternative, e così, in pochi mesi, sono arrivata a vedere il 3 come primo numero sulla bilancia. Non ne ero particolarmente orgogliosa, era così e dovevo continuare così. Anche della mia magrezza non mi importava molto, non mi guardavo allo specchio, non mi vestivo diversamente. Su questo vorrei insistere perché ancora troppo spesso si riduce l’anoressia a un capriccio di qualcuno che vuol essere magro e vuole assomigliare ai terribili modelli che la moda/società ci mostra. Che palle! No! È una malattia, punto e stop. Tu hai la depressione, tu c’hai l’emicrania, tu c’hai il diabete, io c’ho l’anoressia. Chiaro che questa è una malattia mentale e che viviamo in un mondo condizionato oltremodo dalla pressione sociale che sentiamo tutti; in modi differenti, ma tutti. E oggi la pressione sociale spinge proprio nella direzione in cui spinge la malattia (bellezza, estetica, magrezza, essere sempre sorridenti felici patinati filtrati da luci che nascondono anche l’ultimo dei pori più reconditi del viso): credo proprio sia normale che ci sia un aumento di casi di questo genere. Però si tratta di un’altra cosa, la malattia può colpire in cento modi diversi, ma parte da dentro. Tutte le influenze del mondo esterno posso slatentizzarla, ma purtroppo non si tratta di un accessorio esterno, è qualcosa che ha radici profonde dentro e come tutte le malattie, deve essere curata.

Ma torniamo a me. Purtroppo di quell’anno non ho un grande reportage di ricordi perché, come ogni trauma che si rispetti, mi è rimasto un bel buco nella memoria. Davvero non so come passavo le giornate, non so come ho trascorso il mio sedicesimo compleanno, com’era stata l’estate del 2007, purtroppo ho perso i pezzi. Studiavo tanto, camminavo tanto, stavo il più possibile da sola. Quello che mi ricordo vividamente è stato il dolore che ho causato. Ricordo la conversazione con mia madre in cui lei mi diceva che saremmo andati da uno specialista per dca e io le ho risposto che ci sarei andata, ma che ne capivo il senso tanto quanto lei avrebbe capito se l’avessero portata in un centro per alcolisti in quell’istante. Ricordo le lacrime di mio papà

perché le ho viste solo quella volta in vita mia. Ricordo mio fratello che tentando di farmi ragionare mi stringeva il braccio dicendomi che non c’era differenza con il polso. Ricordo il regalo di una mia amica: un libro che trattava di una ragazza malata e forse morta per anoressia, un goffo tentativo di farmi capire che lei aveva capito che stavo male e forse era quel male lì. Ma io purtroppo continuavo a non capire, a non vedere. Vedevo solo che provocavo tanto male e non sapevo il perché. Perché non mi lasciavano in pace e basta? In fin dei conti mica chiedevo niente a nessuno! E poi curare cosa? Io stavo bene così! E come fare a far star bene gli altri? Forse dovevo sparire del tutto per eliminare finalmente questo dolore.

Grazie al cielo c’è stato uno scossone. Credo sinceramente di essere stata miracolata perché ho presente l’esatto istante in cui i miei occhi finalmente si sono aperti e hanno visto dove ero arrivata, come ero ridotta, hanno compreso finalmente quel dolore che gli altri manifestavano e che prima non mi diceva nulla. Come per le cause del male, anche la causa del bene è stata inaspettata e molto semplice. Ero iscritta ad un campo scuola, mia madre mi aveva lasciato frequentare solo gli ultimi giorni in accordo col neuropsichiatra perché tutta la settimana distante sarebbe stata impegnativa da gestire senza qualcuno che controllasse ciò che mangiavo. Ero già in cura da un professore di Padova con cui avevamo un accordo: se avessi perso peso da lì alle prossime due settimane avrei saltato l’anno scolastico e mi avrebbero ricoverato. Ero brava a scuola, ci tenevo tantissimo a non perdere nulla. E grazie al cielo c’è stato quello scossone: quando sono arrivata al campo scuola ricordo i volti dei ragazzi che conoscevo che mi guardavano come se fossi un alieno…volevo sparire e invece era come se fossi in un maxi schermo. Poi un’animatrice, una cara amica, mi ha preso in parte e mi ha detto “sai, tu eri una a cui brillavano gli occhi. Ora non brillano più”. SBAM. Grazie al cielo, non so come, questa frase mi ha fatto davvero tornare al mondo. Ricordo il viaggio di ritorno in macchina con mia mamma, abbiamo parlato del fatto che probabilmente ero dimagrita ancora ed era vero, ma ora avevo capito. Le ho detto di stare tranquilla, le ho chiesto fiducia nonostante le mille bugie raccontate, le ho detto che avevo capito che stavo male! Mi ero svegliata dall’incubo e ora sapevo che dovevo farmi aiutare.

Qui vi aspettereste un grande punto e fine. Purtroppo no, da questa miracolosa presa di coscienza di ciò che era successo è iniziata una salita di gran lunga più faticosa per me. Dal massimo controllo sono passata al totale discontrollo: abbuffate a ogni ora del giorno, con qualsiasi cibo, fino a star male. Il cervello faceva click e mi faceva mangiare quello che il mio stomaco neanche immaginava di poter affrontare a una velocità disumana. Ciò che seguiva queste abbuffate era un senso di totale disprezzo per me stessa per ciò che facevo e per il fatto di non riuscire a vomitare. Grazie al cielo non ci sono mai riuscita. Ma per questo mi sentivo ancora più un fallimento. Per fortuna non ho mai portato le abbuffate fuori dalla porta di casa, le abbiamo gestite tra le mura domestiche. “Abbiamo” io e mia mamma, che per aiutarmi si è fatta un mazzo tanto, cercava di mettere tutto sotto chiave, di presidiare la cucina come fosse un fortino a tutte le ore del giorno, di tirarmi fuori dalle coperte e obbligarmi a uscire dopo le abbuffate più disastrose.

Questo mi ha permesso di tornare a vivere e a far brillare i miei occhi fuori di casa. Se a casa il pensiero era ancora quasi sempre il cibo, fuori iniziavo a godere della seconda chance che la vita mi aveva offerto. Mica succede a tutti di rendersi conto di essere morti e decidere di resuscitare! Le mie amiche sono sempre state un punto di riferimento importantissimo: non mi hanno mai mollata quando stavo male e dopo sono state pronte a offrirmi la mano per riprendere a camminare (e a cazzeggiare). Ho ripreso a godere delle arti che praticavo: il canto e il teatro sono stato un mezzo di espressione e di divertimento potentissimo. Iniziare a volermi bene di nuovo ha voluto dire lasciarmi voler bene da altri e quindi ho iniziato ad avere delle normalissime relazioni affettive. Ho deciso di fare un viaggio in Ecuador come volontaria. Ho iniziato ad affermarmi, a non essere sempre la brava bambina che fa solo ciò che ci si aspetta che faccia, a sbagliare con la mia testa, a dire di no.

Ecco, nonostante questo calvarietto sia durato diversi anni e nonostante spesso abbia pensato si stava meglio quando si stava peggio (per me era così! Stavo cento volte meglio da inconsapevole anoressica che così, pur sulla via della guarigione!), devo dire che alla fine ho detto grazie alla malattia proprio per queste ragioni. Senza di essa non avrei mai avuto la consapevolezza di me che ho acquisito negli anni di cura. Certo, avessi potuto evitarmela sarebbe stato meglio!

Ecco ragazzi, questa è in soldoni la mia storia. Non vi lancio nessun insegnamento perché non ho nulla da insegnare a nessuno. Ma questo sì, di anoressia e bulimia si può guarire eccome. Non è una condanna a morte o a una vita scadente. È una malattia infima che nasce da dentro e logora se la si lascia fare. Cercate di non lasciarvi soli. Per me è stata una malattia che si è nutrita di solitudine ed è stata sconfitta con l’amore della famiglia, l’amicizia, la bellezza e con la ricerca della mia autenticità e di ciò che veramente mi faceva star bene.
E…anche con una buona dose di psicoterapia!

“Sulla loro pelle”, il convegno sui disturbi alimentari tenutosi in Sala Bianchi a Belluno

Un ponte è stato costruito tra Comunità e associazioni. Ora possono scorrere idee, persone, necessità… Grazie al comitato BELLUNO COMUNITA’ CHE EDUCA che ha offerto questa splendida opportunità di condivisione alla nostra Associazione Margherita Fenice Belluno .E un ringraziamento ai professionisti dott.sse Sara Bertelli ,Sara Novero e dott. Gino Mazzoli che ci hanno illuminato il percorso da seguire

Dopo la mattinata dedicata all’incontro con le/gli studenti “Quale fame? D.C.A: parliamone!”, è ora in corso “Sulla loro pelle”, incontro pomeridiano dedicato a genitori, insegnanti, educatrici/educatori e cittadine/i.

BELLUNO COMUNITA’ CHE EDUCA

Associazione Margherita Fenice ODV ,Coordinamento nazionale disturbi alimentari Scuole in Rete per un Mondo di Solidarietà e Pace Csv Belluno Treviso , Comune di Belluno, Ulss 1 Dolomiti

EDUCAZIONE ALLA SALUTE – QUALE FAME? D.C.A: PALIAMONE! INCONTRO SUI DISTURBI ALIMENTARI

IN DIRETTA YOUTUBE

dal Teatro Giovanni XXIII di Belluno, l’evento QUALE FAME? D.C.A.: Parliamone! – Evento per studenti

BELLUNO COMUNITA’ CHE EDUCAScuole in Rete per un Mondo di Solidarietà e PaceAssociazione Fenice ODVCoordinamento nazionale disturbi alimentariCsv Belluno Treviso

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PROGETTO CORPO-La cura di sè- cap.6

Ciao! Eccoci all’ultimo capitolo della serie di post per il “Progetto corpo”: il CAPITOLO 6 è dedicato ai

SOCIAL NETWORK

Facebook, Instagram, TikTok, Twitter… Quanto influenzano il modo di valutare i corpi nostri e delle altre persone?

Quando si parla di ideali di bellezza, qual è il rapporto tra realtà dentro e fuori dai social network?

Quanto potere abbiamo su ciò che vediamo online e sull’effetto che ha su di noi?Che cos’è il

PROGETTO CORPO – LA CURA DI SÉ

Se vi siete perse/i qualche passaggio, nessuna paura! Qualche settimana fa abbiamo pubblicato un post di presentazione del Progetto che potete trovare nelle nostre pagine Facebook e Instagram.

Con il post di oggi abbiamo voluto condividere i lavori delle classi IV A ginnasio “Dal Piaz”, 1H “Tiziano” e 1G “Tiziano, che insieme a molte altre classi hanno partecipato al Progetto durante lo scorso anno scolastico. Quindi, un ringraziamento speciale va alle e agli studenti che li hanno realizzati!#progettocorpo#DCA#disturbialimentari

PROGETTO CORPO-La cura di sè- cap.5

Siamo arrivate/i al penultimo capitolo della serie di post per il “Progetto corpo”: il CAPITOLO 5 dedicato al concetto di

MASCOLINITÀ

Esistono vantaggi e svantaggi sociali legati agli attributi fisici “maschili” e “femminili”?

Quali sono le nostre aspettative rispetto ai canoni estetici ritenuti “maschili” e “femminili”?

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PROGETTO CORPO – LA CURA DI SÉ

Se vi siete perse/i qualche passaggio, nessuna paura! Qualche settimana fa abbiamo pubblicato un post di presentazione del Progetto che potete trovare nelle nostre pagine Facebook e Instagram.

Con il post di oggi abbiamo voluto condividere i lavori delle classi 2B “Tiziano” e 2B “Dal Piaz”, che insieme a molte altre classi hanno partecipato al Progetto durante lo scorso anno scolastico. Quindi, un ringraziamento speciale va alle e agli studenti che li hanno realizzati!

Ci vediamo la prossima settimana con l’ultimo appuntamento di questa serie di post: il tema del Capitolo 6 sarà “Social network”. A presto!

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L’Associazione Margherita  Fenice Belluno aderisce a

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